giovedì 1 marzo 2012

Oblio digitale

Dovrebbero vietarlo. Dovrebbero fare un testamento e dire: "In caso di morte, anche improvvisa, non scrivete una riga su di me. Niente". Una sorta di diritto all'oblio nell'era digitale. Oblio su Twitter, Facebook, Blog e qualsiasi altra cosa viaggi nella rete. Vietato fare commenti personali. Vietato scrivere emozioni condivise. Vietato metterci il pronome personale "io" davanti a quello del morto. Vietato sperticarsi in citazioni più o meno rappresentative. Chi è famoso, più di altri, dovrebbe farlo. Invocare il diritto all'oblio digitale. Chi è rimasto, se proprio proprio il cuore gli batte forte forte e il dito ha bisogno di fare la stessa cosa sulla tastiera, può sempre schiaffare una canzone, un verso o una scena di un film. Ma non metterci nulla che rimandi a se stesso. Banalizzare l'amicizia, la conoscenza, l'affetto, la condivisione di una vita (o parte di essa) è riprovevole. E' come dire "ti amo" ad una persona appena conosciuta . No. Eppure ogni volta che muore qualcuno di conosciuto internet diventa un florilegio di banalità, una raccolta di frase fatte che mettono in primo piano il proprio ego e in secondo chi non c'è più, una grammatica moderna che fa solo male all'essere umano. Tanto che ti chiedi: "Ma questo per essere amico di Tizio, Caio e Sempronio quanto insulso doveva essere?". Ovviamente non è così. Ovviamente sono Tizio, Caio e Sempronio che si sono impossessati di lui un po' come è successo per lavoro a Linda Blair. Ovviamente è la quantità che nausea, che nasconde la verità, che spariglia e confonde come una sfilata di Roberto Cavalli vista da due occhi daltonici. Il troppo infastidisce. Il troppo annulla tutto. Il troppo non lascia tracce. Anche se il dolore è vero. Anche se l'istinto ti lancia a cento chilometri orari sulla tastiera, anche se sei in buona fede. Anche se lo sgomento per una perdita ti rende vulnerabile e facilmente investibile dall'onda emotiva. Le emozioni hanno bisogno di silenzio e solitudine. Quelle vere molto più delle altre. E soprattutto non hanno bisogno di "io". I rave party non aiutano a superare i lutti. Generalmente. E il ticchettio dei tasti, pur discreto che sia, non è silenzio. Questa nuova maniera di urlare, tutti e contemporaneamente, è po' fastidiosa. Un po' come quando ai funerali le tue lacrime vengono coperte dalle prefiche, ululanti per contratto. Un po' come quando per "essere" devi dire che "c'eri". E non importa se a un party o a un funerale. "Io sono perché c'ero. Io sono perché twitto. Io sono perché pòsto. Io sono perché partecipo". Appunto. Buona camicia a tutti.

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